La favola di Natale di Giovannino Guareschi

La favola di Natale, di Giovannino Guareschi, non è certo il testo che più viene in mente in questo periodo, vicini alla Pasqua. 
Eppure, vale la pena leggere questo breve libro proprio perché siamo in prossimità della festa cristiana più importante: Natale e Pasqua, nascita, morte e resurrezione, sono legate: «Un bambino è nato per noi, ci è stato donato un figlio (Is 9, 5-6); «Cristo morì per i nostri peccati» (Cor 15, 3). Natale è l’alba nuova nella storia, in cui Dio si fa uomo, la Pasqua è il compimento del mistero dell’Incarnazione con la Passione e la Resurrezione.
 
Un secondo motivo per cui questo testo parla a noi, oggi, è inevitabilmente legato a quanto avviene in Europa in questo tempo: la guerra, sempre presente ma solitamente in altre zone del mondo, lontana dalla nostra quotidianità, è infine entrata nel continente europeo
Oggi come al tempo dello scritto, il 1944, siamo in attesa di un miracolo, la stessa attesa del Natale, l’attesa di un avvenimento di una portata così grande da cambiare il corso della storia

Per questo non reputo fuori luogo parlare de La favola di Natale a Pasqua, perché anche noi, come l’autore, siamo in attesa, anzi siamo noi stessi attesa.
L’autore scrive questa favola mentre è deportato in un campo di concentramento con lo scopo di allietare, leggendola, i suoi compagni di prigionia. Quello che si legge non è una favola esclusivamente per i più piccoli, non sono narrati solo i sogni di un bambino, piuttosto sono narrati i sogni di un padre, prigioniero e lontano: nelle prime pagine Guareschi sogna, ricorda la sua casa e se la immagina vuota, in attesa. Tutti gli oggetti sono consapevoli che manca qualcosa, c’è un posto vuoto a tavola la notte del cenone e quando il figlio Albertino parte con il favore del buio alla ricerca del padre tutte le cose gli parlano e gli chiedono di portare un messaggio al padrone di casa, nel lager; il calendario mangia i giorni per abbreviarglieli, l’orologio conta i minuti che lo separano dal suo rientro e la macchina da scrivere si dice senza parole, in attesa di finire la novella che Guareschi stava scrivendo. 

La favola narra anche i desideri di un bambino, Albertino, e di una mamma, la nonna di Albertino: dopo essere scappato di soppiatto dalla casa, il figlio arriva finalmente al cancelletto per uscire dalla proprietà e, vedendo un’anziana signora avvicinarsi, riconosce un volto familiare:«Tu nonnina?».«Tu, Albertino? E dove vai a quest’ora?».«E tu, nonnina?».«Io vado a trovare il mio bambino». 
 Il dramma della guerra esce per un attimo dallo Stalag XB dove è rinchiuso l’autore per andare a posarsi direttamente nelle pagine di questo scritto: i due attraverso vari incontri vivranno, a loro modo, la Seconda guerra mondiale, condotti sapientemente dalla fantasia e dall’ironia di Guareschi,che svela ciò che gli sta più a cuore, rincontrarsi con i suoi affetti più cari. È la descrizione dei rapporti della famiglia, il desiderio della nonna di vedere suo figlio, di Albertino di vedere suo padre e della mamma di Albertino che, quella notte, uscirebbe «solo se si trattasse del suo bambino», proprio come l’anziana. Non è egoismo nei confronti del marito al fronte, ma l’amore straordinario di ogni madre. Non solo, verrà con loro anche il fedele cane Flik. 
La vicenda è un incontro tra tre generazioni, tutte mosse dallo stesso amore familiare.Guareschi stesso si descrive come il babbo che «voleva ritornare, almeno quella notte, e girare tutte le stanze e affacciarsi ai sogni di tutti i dormienti. 
E il bambino, e la nonna, e il papà si incontravano a metà strada nel bosco dove, la notte di Natale, si incontrano creature e sogni di due mondi nemici. “Tu qui?” chiese la nonnina con apprensione. “Cosa ti succederà? Lo sai: adesso la fuga dalla prigionia non è più uno sport !”.“Ma la fuga in sogno è sempre uno sport, mamma! È l’unico sport che ci rimane. Sognare. I sogni non portano il piastrino, quella targhetta metallica "indossata" costantemente dai soldati in guerra; non c’è l’appello notturno dei sogni; non esistono “zone della morte” per i sogni. Nella stufa il fuoco è spento e nelle stanze squallide si respira aria gelida come ghiaccio liquefatto, ma i sogni non hanno freddo perché gli basta, per scaldarsi, il tenue focherello d’una stella, o un sottile raggio di luna. 
Sognare. Quante notti ho percorso la strada che porta alla nostra casetta? Lo so, anche tu, mamma, tante volte hai percorso la strada che porta al mio lager. Ma non ci siamo mai incontrati perché solo nella santa notte di Natale è concesso ai sogni di incontrarsi […]”». 

Allo stesso tempo ci sono pagine che descrivono con una tenerezza infinita cosa vuol dire essere madri, a ogni età: «Quando la notte vengo a trovarti, giro per le baracche e leggo tutti i cartelli. E guardo tutto: sapessi che pena vedere le tue magliette piene di buchi!... Una volta ho portato con me l’ago e il filo e ho provato a rammendarti il farsetto: ma le mani, nei sogni, sono fatte d’aria». 

È una favola e va letta come tale.E va letta anche in prossimità di Pasqua, perché anche questa, a suo modo, è una storia di Resurrezione e di vita. C’è vita e c’è fede, anche nello Stalag XB, anche sotto le bombe.